Educazione civile, aiutiamo i giovani a diventare cittadini

Pubblichiamo l'intervista al nostro Pino Polistena da parte di Paola D'Amico, del Corriere della Sera. Intervista pubblicata dal Corriere il giorno 20 febbraio 2024, nella rubrica "Buone notizie".

 

I giovani possono «imparare tutto. Ma devono essere aiutati». La scuola è il luogo culturale dove «formare i cittadini». Ma «ci sono insegnanti straordinariamente ignoranti sulle questioni civili». Per questo «non basta una legge ad avvicinare i giovani all’educazione civica». Non usa giri di parole Giuseppe (Pino) Polistena, filosofo, docente e per 28 anni preside. Ben prima che la legge (nel 2019) reintroducesse come materia trasversale nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione civica soppressa negli Anni 90, nel suo Liceo linguistico Manzoni di Milano, una delle scuole del Polo civico, recuperò un’ora curricolare di educazione «civile».

Civile, non civica?

«Proprio per differenziarla dall’educazione civica che era stata fallimentare. Un termine può indicare un progetto. Il nostro non era teorico. Non si “insegnava” solo la Costituzione. Si andava nelle istituzioni, Comune, Regione, Parlamento, per vedere il lavoro effettivo. Ma ho trovato difficoltà nel realizzarlo. Le resistenze furono di tipo burocratico ma anche da parte dei docenti meno preparati».

Resistenze?

«Molti di loro mi dicevano “sono qui per insegnare inglese, matematica non per parlare di Costituzione”. La verità è che loro stessi erano fortemente impreparati. Invece, ritengo che gli insegnanti debbano essere prima di tutto degli operatori di cittadinanza: dovrebbero conoscere sia la Costituzione sia l’età evolutiva. E il fatto che nessun ministro abbia voluto affrontare questo tema si ripercuote drammaticamente sulle capacità degli studenti. Perché loro sono piccoli, i loro cervelli sono molto elastici ma hanno bisogno di processi formativi che la scuola deve concepire e offrire».

Dal 2018 non è più preside ma quel progetto di educare alla cittadinanza alla Manzoni è ancora vivo.

«Ho mantenuto i contatti con i miei ex studenti: vengono agli incontri periodici con gli attuali studenti, incontri aperti anche ad altri licei, d’accordo con il Comune. Prepariamo eventi. Quest’anno saremo alla Civil Week. Sarà una straordinaria opportunità e dibatteremo su due articoli della Costituzione, il 49 e il 67».

L’articolo 49 riguarda i partiti politici.

«È un articolo criticato dai giovani, perché parla di una “struttura” che non può essere più lontana dalle loro aspettative. Il 99% oggi non sente di dover partecipare alla politica attraverso l’iscrizione a un partito e se la politica non si interroga su questo è un problema».

Cosa propongono?

«Che si regolamentino i partiti per evitare il cumulo di potere che c’è adesso. I giovani non accettano che una persona fisica accumuli tanto potere stando sia nei partiti sia nelle istituzioni dello Stato».

È d’accordo?

«All’inizio degli anni Novanta da coordinatore dei Verdi riuscii a inserire nello statuto nazionale due regole che prevedevano la incompatibilità tra il ruolo partitico e quello istituzionale: se eri in parlamento non potevi essere coordinatore».

Le diedero dell’eretico?

«Più o meno. Tutti i big da Rutelli a Ripa di Meana fino a Pecoraro Scanio furono d’accordo nel dire che la “regola Polistena” impediva la crescita dei Verdi. La regola fu tolta, ma il partito collassò».

Tornando alla scuola, è anche luogo dove può nascere la passione politica?

«Nella mia concezione della politica come attività molto alta, è fondamentale il controllo del potere ed è a questo livello che i cittadini si devono impegnare. Dobbiamo sperare che i giovani riescano a capire nella prossima generazione come leggere il mondo in modo diverso da come è stato letto fino ad oggi».

Come ridurre la distanza tra i giovani e la politica?

«Coinvolgerli, farli partecipare a forme di lavoro istituzionali, far seguire loro l’iter di una legge. E poi lasciare loro la massima libertà. Far capire quanto è importante avere idee diverse. Perché la differenza è un valore. E la politica è mediazione, coesistenza, è senso generale di una polis che in greco indicava non tanto la città, ma la moltitudine. Oggi quella città è tutta la terra. Che è fatta da differenze e propio queste sono la sfida della politica».

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