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La Politicità Sociale, nuova frontiera della politica
La Politicità Sociale, nuova frontiera della politica

L’espressione “politicità sociale”, che non esiste nel lessico filosofico e politologico, indica il grado di diffusione di coscienza, strumenti e forme politiche presenti nella società civile intesa come sfera distinta dai luoghi statali o sovrastatali ovvero dalle istituzioni che hanno il potere di prendere decisioni per tutti.

Un contributo di Pino Polistena

Baumann
Hanna Arendt
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Erwin Schrodinger

"ll compito non è tanto di vedere ciò che nessun altro ha ancora visto, ma pensare ciò che nessun altro ha ancora pensato riguardo a quello che chiunque vede"

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Il Blog

Chi ci conosce e ci segue sa quanto sia importante per noi la distinzione tra istituzioni e società, al punto che abbiamo coniato un nuovo termine per rappresentare queste due realtà: "politicità istituzionale" e "politicità sociale".
La prima tiene conto e comprende le azioni politiche, vincolanti per tutti, svolte da chi è nelle istituzioni (Governo, Parlamento, ...), le rappresenta, le gestisce a nome dell'intera nazione.
La seconda è l'insieme di strumenti, azioni e funzioni che consentono ai cittadini di elaborare idee e visioni politiche per indirizzare e controllare la politicità istituzionale nell’interesse della collettività. La politicità sociale, quindi, si sviluppa quando la società civile dispone di spazi politici e strumenti per formarsi, confrontarsi, esprimere le proprie istanze e proposte, partecipare alla elaborazione dei programmi elettorali e alla selezione dei candidati alle cariche elettive, verificare e valutare l’operato degli eletti.
Questa proposta di Referendum (quattro quesiti) va proprio in questa direzione: sviluppa la politicità sociale restituendo ai cittadini elettori parte del potere di controllo e decisione che è stato loro tolto e attribuito alla politicità istituzionale, o meglio, ai partiti, che le stanno, letteralmente, occupando.

L'attuale legge elettorale, soprannominata "Rosatellum", dal nome di Ettore Rosato, primo firmatario della legge, prevede l'elezione di Deputati e Senatori in una modalità "mista": circa un terzo vengono eletti in collegi "uninominali", i rimanenti due terzi in collegi "plurinominali" agganciati però ai precedenti. La legge obbliga il "trascinamento" del voto: un voto dato solo ad una lista plurinominale, viene esteso anche al candidato uninominale collegato; viceversa, il voto dato al solo candidato uninominale, viene distribuito "proporzionalmente" alle liste collegate del collegio plurinominale. Questo significa che il proprio voto, espresso per una lista o per un candidato uninominale, viene esteso, viene spostato anche da qualche altra parte, in un modo che potrebbe non essere condiviso dall'elettore. Inoltre, è preclusa la possibilità di votare una lista ed un candidato uninominale non collegato (voto disgiunto).
Il primo quesito, quindi, cerca di restituire all'elettore la pienezza del voto, in termini di personalità e libertà, eliminando meccanismi di trascinamento che potrebbero distorcere la volontà dell'elettore (a favore della volontà del partito o coalizione che ha presentato quei candidati).

Il Rosatellum prevede delle soglie di sbarramento, sia a livello di lista che di coalizione, che puntano a "semplificare" i risultati, eliminando le formazioni più piccole. Purtroppo, il metodo utilizzato non è lineare: le liste devono raggiungere la soglia del 3% per concorrere all'assegnazione dei seggi, 10% per le coalizioni. Se però una lista, all'interno di una coalizione, ottiene tra 1% e il 3%, non ottiene seggi, ma i sui voti non vengono persi, bensì spostati su altre liste collegate. Un elettore quindi, che avesse votato quella lista, non sa dove sia finito il suo voto, a quale lista sia stato attribuito, determinando l'assegnazione di un seggio non previsto, non voluto.
Il secondo quesito elimina le soglie e le ridistribuzioni di voti tra liste collegate.

Uguale trattamento viene riservato ai voti che vengono espressi a candidati presenti in più collegi (la legge prevede una candidatura uninominale e fino a cinque contemporanee candidature plurinominali). I voti espressi ad un tale candidato, presente in 5+1 collegi, risultano depotenziati: valgono solo per la lista, ma non per la scelta del candidato che, accogliendo l'elezione in uno dei 6 collegi, automaticamente rinuncia agli altri cinque. Inoltre, nei cinque collegi a cui rinuncia, risulterà eletto il successivo candidato in lista: di conseguenza, accettando o rinunciando ad un seggio o ad un altro, quel candidato ha il potere di scegliere chi lo sostituirà, influenzando perciò il risultato del voto, che non è più totalmente nelle mani del cittadino elettore. Tra l'altro, questo perverso meccanismo ha l'effetto collaterale di scardinare la distribuzione dei seggi tra i generi: una donna, vincitrice in 3 o 4 collegi nei quali era stata candidata, provoca l'elezione di un uomo in quelli in cui rinuncia, sbilanciando il rapporto tra uomini e donne (che dovrebbe essere metà e metà, secondo la legge).
Il terzo quesito impedisce di candidarsi in più di un collegio.

L'ultimo quesito proposto cerca di eliminare un privilegio che favorisce i partiti esistenti rispetto a nuove realtà appena nate che puntano ad entrare in Parlamento. La legge attuale dispensa i partiti già presenti nelle istituzioni dall'obbligo di raccolta firme, mentre tutti gli altri devono sottostare a questo pesante compito. Con questo quesito referendario si vuole ristabilire per tutti l'obbligo della raccolta firme, eliminando privilegi che servono solo a favorire la permanenza nelle istituzioni di chi già le occupa.

Il nostro Centro Studi Forme&Riforme quindi condivide nella sostanza queste proposte referendarie, perché tendono a rinforzare quella forma di politicità che noi definiamo "sociale", appartenente alla società civile e tendente a contrastare lo strapotere di partiti ormai lontani dai loro compiti primari (la vigilanza su chi detiene il potere, la mediazione tra le istanze dei cittadini, la definizione dei programmi, la scelta dei candidati, il tutto necessariamente svolto con "metodo democratico").
Il Centro Studi Forme&Riforme quindi sosterrà la raccolta firme e parteciperà attivamente alla campagna referendaria, attivandosi fin da subito. Chi volesse partecipare alla raccolta firme assieme a noi, scriva una mail a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Tutte le informazioni sono disponibili sul sito del Comitato Referendario: www.iovoglioscegliere.it

 

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Eccoci arrivati all'ultima puntata della nostra analisi sui candidati alle ormai prossime Elezioni Europee.

Come da tradizione, vogliamo concludere esprimendo un giudizio complessivo, non tanto sui contenuti di ciascun contendente, quanto sullo stile, sulle modalità, lasciateci dire "sulle FORME" che ogni partito ha adottato per presentare i propri concorrenti.

Ci siamo inventati una metrica, cioè un sistema di misura quanto più possibile indipendente e staccato dalla contesa politica in sè, in modo da riuscire a fotografare e misurare proprio e solo i comportamenti.

Un altro interessante aspetto della nostra analisi, dedicata ad evidenziare le patologie che da anni affliggono partiti e politici nostrani (e forse non solo), è quello che possiamo definire: "di professione: politico".

In questo capitolo, abbiamo semplicemente confrontato i candidati 2024 con la lista dei Deputati Europei uscenti (eletti nel 2019 o subentrati nel corso della legislatura).
Ebbene, dei 76 uscenti eletti dall'Italia nel 2019, ben 45 vengono ricandidati (quali il 60%!).
Di questi 45, 9 ritentano l'avventura europea per la TERZA volta (erano stati eletti nel 2014 e poi nel 2019), 1 per la QUARTA (2009, 2014, 2019) e (udite udite) 2 ci stanno provando per la QUINTA volta (hanno già 4 legislature alle spalle)!

Eccoci alla terza puntata dell'analisi dei candidati alle prossime Elezioni Europee.

Ci occupiamo ancora di Doppi Incarichi, cioè di Candidati che ricoprono già un ruolo elettivo o di nomina politica, ma nonostante questo si sono ugualmente candidati per un posto in Europa.

Nelle tabelle che seguono, c'è quindi una colonna per gli incarichi regionali (Presidenti di Regione, assessori e consiglieri regionali), una per gli incarichi comunali (sindaci, assessori e consiglieri comunali) ed eventualmente una per gli incarichi provinciali, se necessario.

Eccoci alla seconda puntata della nostra analisi dei candidati alle prossime Europee del'8 e 9 giugno.

Anche se dovrebbe essere evidente, dai contenuti dei nostri articoli, che non giudichiamo contenuti e programmi elettorali, nè ci schieriamo da una parte o dall'altra (anche se ognuno di noi ha le proprie idee, naturalmente), vogliamo solo sottolineare i comportamenti e le modalità in cui ciascun partito e ciascun candidato si propone agli elettori: sono quelle che noi chiamiamo "FORME" e che, pensiamo, sono anche più importanti dei profili delle singole persone, perchè proprio da queste forme dipende la qualità della Politica e, di conseguenza, sia il modo in cui funzionano le Istituzioni, sia l'affezione o il disinteresse dimostrato dai cittadini elettori.

Eccoci alla prima puntata della nostra consueta analisi dei candidati alle elezioni europee del prossimo 8 e 9 giugno 2024.

Cominciamo dall'aspetto più facile da vedere: le multicandidature, cioè i candidati che si sono presentati in più di una circoscrizione.

Molti non riescono a percepire il problema, così abituati a subire queste anomalie, da non prestarvi più attenzione. Anzi, molti sono felicissimi di poter votare il candidato leader di partito o accapparratore di preferenze, senza rendersi conto che il loro voto, in questo modo, vale meno degli altri. Si, perchè quel candidato, presente in due, tre, quattro o anche cinque circoscrizioni, ne dovrà per forza scegliere una sola in cui accettare l'elezione (nel caso di elezione, ovviamente), quindi

Spesso ci viene chiesto perchè insistiamo sul concetto di "politicità sociale", che in qualche modo appare come una critica esplicita della "democrazia", dimenticando che nella maggior parte dei Paesi occidentali, e quindi anche in Italia, la democrazia è quel prodotto storico che si è concretamente realizzato attraverso "libere elezioni" che presuppongono "separazione dei poteri e tutela delle minoranze". Se queste condizioni sono verificate, alla fine, cosa pretendiamo ancora?

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