Ma "democrazia" non è sufficiente?

Spesso ci viene chiesto perchè insistiamo sul concetto di "politicità sociale", che in qualche modo appare come una critica esplicita della "democrazia", dimenticando che nella maggior parte dei Paesi occidentali, e quindi anche in Italia, la democrazia è quel prodotto storico che si è concretamente realizzato attraverso "libere elezioni" che presuppongono "separazione dei poteri e tutela delle minoranze". Se queste condizioni sono verificate, alla fine, cosa pretendiamo ancora?

Soffermiamoci allora su queste impegnative affermazioni, cercando di ragionare semplicemente, in modo comprensibile e verificabile da tutti per dimostrare che queste condizioni sono solo apparentemente verificate.

La nostra Costituzione senza dubbio ha puntato alla realizzazione di una democrazia, ma non ha indicato il percorso per raggiungere l'obiettivo.

Per esempio, ha affermato la parità di diritti senza differenze di sesso, ma i costituenti sapevano bene che traghettavano nel sistema repubblicano le leggi monarchie e fasciste che quella parità non contemplavano. Si pensi alle leggi che regolavano il matrimonio, l'adulterio, ecc. Nonostante ciò non si curarono di prevedere che le leggi esistenti fossero passate al setaccio per verificarne la loro compatibilità con la nuova Costituzione. Mancò così un percorso che avrebbe potuto garantire la realizzazione di quanto veniva solennemente affermato.
Lo stesso limite lo riscontriamo quando la Costituzione introduce la previsione del pluripartitismo, ma non si cura di definire cosa si debba intendere per "metodo democratico" (art 49 Cost), cosicché noi ci troviamo con dei Partiti che hanno il monopolio della politica istituzionale, ma senza alcuna garanzia che i partiti favoriscano la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche.
Ancora, sebbene si affermi che tutti possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art 51 Cost), nei fatti l'accesso alle cariche elettive è monopolio dei partiti: se uno qualunque di noi volesse candidarsi, ha due alternative: o bussa alle porte dei partiti, che in modo non trasparente decideranno cosa fare della sua autocandidatura, o fonda un suo partito per tentare di entrare nelle istituzioni. Ma il diritto di concorrere alle cariche elettive è un diritto individuale, perché ci si dovrebbe costruire un partito per usufruire di un diritto costituzionale?

Potremmo continuare nella disamina, ma ci limitiamo a chiedere che razza di democrazia è quella che non consente ai rappresentati di scegliere i propri rappresentanti e addirittura votando un partito quasi sempre ne rafforzano un altro che non vorrebbero rafforzare? Esattamente ciò succede in Italia, legge elettorale alla mano. Democrazia o Partitocrazia?

Mi spiace, ma a mio avviso non si può affermare che la democrazia sia "concretamente realizzata". E questo non è mai avvenuto perché non c'è mai stata, di pari passo con il termine "politica", una compiuta elaborazione su cosa si debba intendere per democrazia, su quali debbano essere i requisiti minimi che un sistema deve avere per potersi definire democratico.

Se poi riflettiamo sull'espressione "libere elezioni", cosa significa? Libere da cosa e da chi? Non certo libere da condizionamenti, da chi esercita un controllo sui mezzi d'informazione.
Allora, cosa dobbiamo intendere per elezioni libere?

Certo, ciascuno è libero di dire ciò che vuole, ma ciascuno ha lo stesso diritto di microfono? Vale a dire lo stesso potere di essere ascoltato?

Se le elezioni sono ricerca del consenso, possono essere considerate libere le elezioni in cui i concorrenti non hanno uguale accesso ai mezzi d'informazione? In cui un concorrente detiene il controllo di importanti mezzi di informazione? In cui chi è dentro le istituzioni è in vantaggio su cui vorrebbe entrare? In cui quindi i concorrenti non concorrono in condizioni di parità. Anche questo succede da sempre in Italia.

Non è questa la sede per analizzare l'intreccio perverso che c'è sempre stato tra sistema informativo e "potere politico", per non parlare del consenso comprato con i metodi clientelari e la distribuzione di incarichi pubblici ... ma direi che non ci sono le condizioni per affermare che le elezioni siano libere perché in realtà sono pesantemente condizionate da chi detiene potere istituzionale, controllo su mezzi d'informazione e maggiori risorse economiche (e questo ha sempre prodotto corruzione nel sistema partitico, corruzione già pesantemente denunciata dal senatore Luigi Sturzo nel 1958).

Ma veniamo ad un altro aspetto: la Separazione dei poteri: esiste?
Se analizziamo le ultime legislature scopriamo che più dell'80% del tempo parlamentare è stato occupato dalla discussione di provvedimenti di natura governativa. Di fatto il potere legislativo è nelle mani dell'esecutivo, anche a causa delle insufficienti previsioni costituzionali che non hanno adeguatamente normato i rapporti tra Esecutivo e Legislativo.
Non solo, come possono essere "separati" i due poteri se chi detiene il potere esecutivo ha anche il potere legislativo?
Come può un parlamentare essere "libero" nel suo essere rappresentante della Nazione se il suo seggio dipende dal suo segretario di partito che lo mette in lista e magari il segretario è anche parlamentare o addirittura presidente del consiglio?
La separazione dei poteri esiste in teoria, ma altro tema è verificarla nella pratica e nella sua compiutezza.

Tutela delle minoranze? Anche qui, riflettiamo. Le uniche minoranze effettivamente tutelate sono quelle linguistiche e anche qui discriminando tra le minoranze delle regioni a statuto speciale e quelle delle regioni a statuto ordinario, cosicché la minoranza italiana di lingua albanese non ha le stesse tutele della comunità francofona valdostana.

Le minoranze politiche e le opposizioni politiche non sono invece tutelate dalla Costituzione, che non se ne occupa nemmeno, e dalle leggi. L'unica tutela delle minoranze politiche e delle opposizioni politiche viene dai regolamenti parlamentari che però sono nella disponibilità della maggioranza politica che in ogni momento li può cambiare. Anche qui, perciò, non possiamo che affermare che non esiste alcuna effettiva tutela delle opposizioni e minoranze politiche.

Tutti questi ragionamenti portano a concludere che la narrazione dominante ci ha indotto a considerare democrazia un qualsiasi sistema in cui sia previsto il pluripartitismo e un sistema elettorale, senza curarci di come sono organizzati i partiti e come si sviluppano i processi decisionali interni ai partiti, comprendendo anche l'affidamento degli incarichi e la selezione dei candidati, senza verificare se i sistemi elettorali servono a eleggere dei rappresentanti del popolo o semplicemente a determinare quanti soldatini debba avere ogni capo partito.

Allora, concludendo, la riflessione intorno alla politicità sociale ci aiuta a svolgere queste riflessioni sinora storicamente non fatte e ci porta, per esempio, alla conclusione che è indispensabile introdurre regole per i partiti perché non ci può essere democrazia se è il capo partito a scegliere chi può divenire parlamentare, a controllare i suoi parlamentari e magari a rivestire contemporaneamente anche il ruolo di ministro o di presidente del consiglio.

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